Tre libri per conoscere Carrère

Uno dei buoni propositi dall’anno passato è stato quello di leggere almeno due libri di Emmanuel Carrère, scrittore contemporaneo francese noto per piccoli capolavori come l’Avversario, di cui oggi non vi parlerò ma la cui particolare trama potete trovare qui. Sono stata bravissima: ne ho letti tre, di quelli in lista, e sono qui per parlarvene.

  • LA SETTIMANA BIANCA ✮✮✮✮✮

Ho cominciato con La settimana bianca, pubblicato nel 2014 da Adelphi, un romanzo di finzione incentrato sulla storia di Nicolas, un bambino di

Copertina ediz. Adelphi

circa dieci anni, e della settimana bianca che lui e i suoi compagni di scuola trascorrono in uno chalet dal luogo imprecisato. Che nella storia ci sia qualcosa che non vada, lo si capisce subito. Suo padre non torna, anche se Nicolas si è dimenticato tutto il necessario per sopravvivere in montagna nella sua macchina, e la cosa si fa sempre più preoccupante. Ma sono gli occhi di Nicolas a dettarci cosa vada o cosa non vada, e l’inquietudine cresce assieme a lui. Noi, nella sua testa immaginifica e fanciulla, non possiamo che seguire i suoi pensieri, le sue congetture, i suoi stati d’animo, perché alla fine della storia il protagonista è lui, e quello che succede – e succederà – rimarrà sullo sfondo. Non lo definirei proprio un horror, anche se, lo ammetto, a leggerlo da sola in casa qualche occhiata alla porta ogni tanto l’ho buttata. Fidatevi di una che gli horror non li sopporta, che si caca sotto, che fugge alla vista di una foglia nera nella notte: questo libro, horror, non lo è. Lo dice anche Carrère stesso.

Ognuno è libero di pensarla come vuole, ma quella di Nicolas non è un’horror-story, semmai è la storia di un orrore.

  • YOGA ✮✮✮✮✮

La vita che Emmanuel Carrère racconta, questa volta, è proprio la sua,

Copertina ediz. Adelphi

trascorsa, in gran parte, a combattere contro quella che gli antichi chiamavano melanconia. C’è stato un momento in cui lo scrittore credeva di aver sconfitto i suoi demoni, di aver raggiunto «uno stato di meraviglia e serenità»; allora ha deciso di buttare giù un libretto «arguto e accattivante» sulle discipline che pratica da anni: lo yoga, la meditazione, il tai chi. Solo che quei demoni sono rimasti in agguato, e quando meno se l’aspettava gli sono piombati nuovamente addosso; e non sono bastati i farmaci, ci sono volute quattordici sedute di elettroshock per farlo uscire da quello che è stato diagnosticato come «disturbo bipolare di tipo II».

Questo non è dunque il libretto «arguto e accattivante» sullo yoga che Carrère intendeva offrirci: è molto di più. Si parla, certo, di che cos’è lo yoga e di come lo si pratica, e di un seminario di meditazione Vipassana che non era consentito abbandonare, e che lui abbandona senza esitazioni dopo aver appreso la morte di un amico nell’attentato a «Charlie Hebdo»; ma si parla anche di una relazione erotica intensissima e dei mesi terribili trascorsi al Sainte-Anne, l’ospedale psichiatrico di Parigi; del sorriso di Martha Argerich mentre suona la polacca Eroica di Chopin e di un soggiorno a Leros insieme ad alcuni ragazzi fuggiti dall’Afghanistan; di un’americana la cui sorella schizofrenica è scomparsa nel nulla e di come lui abbia smesso di battere a macchina con un solo dito – per finire, del suo lento ritorno alla vita, alla scrittura, all’amore.

L’autofiction di Carrère riesce ad ammaliarci con la «favolosa fluidità» della sua prosa («Le Monde») e con quel tono amichevole, quasi fraterno, che è soltanto suo, di raccontarsi quasi che si rivolgesse, personalmente, a ciascuno dei suoi lettori.

Certamente non è dovere assoluto di un libro salvare il mondo. Tuttavia io preferisco scrivere libri che facciano del bene piuttosto che il contrario. Mi spiego: non penso – ed è ovviamente una convinzione personale che non pretendo di estendere a legge universale – che siamo sulla Terra con lo scopo di essere felici, bensì con quello di capire di più. Di avere una comprensione più vasta, alta, profonda della gamma dell’esperienza umana. Dunque, per me fare il bene attraverso un libro non è dire: la vita è meravigliosa, credimi, sii felice, hai tutte le potenzialità in te per esserlo, eccetera, ma cercare di capire qualcosa di più dell’esistenza, e, spero, di far sì che chi mi legge capisca a sua volta qualcosa in più.

  • VITE CHE NON SONO LA MIA ✮✮✮

Vite che non sono la mia è un romanzo autobiografico di circa 260 pagine. Partendo dal raccontare dello tsunami che ha investito le coste dello Sri Lanka e che Carrère ha vissuto in prima persona – evento che

Copertina ediz. Adelphi

lo ha costretto a mettersi faccia a faccia, per la prima volta, con la morte – passa a raccontare del lutto subito successivo, quello della sorella della moglie, Juliette. Alla storia della malattia della cognata – un cancro recidivo – associa quella di Etienne, giudice zoppo che ha lavorato per molti anni a fianco di Juliette e, vittime dello stesso destino, ha condiviso con lei delle intimità proibite in qualsiasi altro rapporto che non avesse previsto una condivisione speciale di esperienze.

Sapete cosa mi è mancato in questo libro? Un filo conduttore. Ho percepito come se la prima parte non stesse molto bene con quella successiva, e che il collegamento che Carrère gli ha voluto dare – l’esperienza della morte – è stato affrontato troppo nettamente. Un momento ero in Sri Lanka, cominciavo ad affezionarmi ai personaggi, a comprendere la loro storia, e quello successivo, senza neanche salutarli, ero in Francia, da una Juliette diversa da quella di cui si stava parlando nei capitoli precedenti (Juliette è anche il nome di una bambina morta durante lo tsunami, con i cui genitori Carrère e la sua famiglia sono entrati in relazione). Questo, sì, e anche un’altra cosa: concentrarsi su Etienne mi ha un po’ fatto venir voglia di saltare le pagine, come se lo stessi percependo come un estraneo alla vicenda. Io volevo sapere di Juliette e della sua famiglia, cosa me ne fregava di tutti quei dettagli sulla vita di un giudice? Ecco, queste sono le ragioni delle mie tre stelline. Per il resto la scrittura è esattamente l’insaziabile Carrère che mi piace, che vuole indagare a fondo qualsiasi avvenimento della sua vita e poi lo fa davvero.

“Da sei mesi a questa parte, ogni giorno, di mia spontanea volontà, passo alcune ore davanti al computer a scrivere di ciò che mi fa più paura al mondo: la morte di un figlio per i suoi genitori, quella di una giovane donna per i suoi figli e suo marito. La vita mi ha reso testimone di queste due sciagure, l’una dopo l’altra, e mi ha assegnato il compito, o almeno io ho capito così, di raccontarle.”

Ho inserito nella lista dei libri che voglio leggere nel 2022 un altro paio di romanzi di Carrère, primo fra tutti l’Avversario, a cui tanto si riferisce in Vite che non sono la mia e che ha scritto quasi in contemporanea con La settimana bianca.

E voi? Avete letto qualcosa di Carrère? Vi è piaciuto? Fatemelo sapere nei commenti!

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Una replica a “Tre libri per conoscere Carrère”

  1. Ho letto quasi tutti i libri di Emmanuel Carrère, un autore che amo molto. Il primo è stato La settimana bianca, tanti anni fa. Vite che non sono la mia è forse quello che preferisco in assoluto, toccante, commovente. Indimenticabile la figura dell’amica Juliette. Bellissimo anche L’avversario.

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