Il conturbante Teatro di Sabbath

Oggi parliamo de Il teatro di Sabbath, di Philip Roth, un volume di circa 480 pagine in cui tutto, ma proprio tutto, è narrato dal punto di vista di Sabbath, un ex burattinaio newyorkese alle prese con una crisi esistenziale in seguito alla morte di Drenka, la sua amante più amata.

Antieroe cinico e disturbato, Sabbath si ritrova a mettere in discussione la sua vita, i suoi affetti, persino le persone morte che hanno fatto parte della sua infanzia e della sua gioventù, nel tentativo di trovare un senso alla sua, di esistenza, nonché a quella generale, a cui si affaccia tramite il ricordo continuo delle vite delle persone che ha conosciuto e che ha incrociato.

E’ stato scritto nel 1995 da Philip Roth, scrittore statunitense famoso al grande pubblico per Pastorale Americana, che ha visto la luce solo due anni dopo la stesura di questo romanzo e che è confluito nell’omonimo film del 2016 diretto e interpretato, al suo esordio come regista, da Ewan McGregor. Nel 1995, anno di pubblicazione, ha vinto il National Book Award per la narrativa, un premio letterario statunitense in attività dal 1950.

Il romanzo è ambientato nel 1994, anche se il continuo riferimento e il portare a galla avvenimenti del passato fa sì che, a poco a poco, si sveli tutta quello che è successo d’importante nella vita del protagonista. Questa continua mediazione con il passato rende la lettura faticosa, ma non per questo lo avrei preferito diverso: il fatto è che siamo sempre nella testa di Sabbath, ed è questo che affatica. Immaginiamoci se dovessimo mettere per iscritto tutto quello a cui pensiamo durante la giornata: quante volte tireremmo fuori riferimenti a scene del passato? Personalmente, troppe. Ecco, nel Teatro di Sabbath è lo stesso: si parte da un avvenimento del 1994, nel presente narrativo, e poi si va indietro; poi si torna, si avanza di poco, e poi si rinvanga un altro po’ nel passato, a volte standoci molto; si torna al presente, Sabbath agisce, cammina, fa cose, e poi di nuovo si torna indietro, ancora, aggiungendo dettagli preziosi per comprendere il Sabbath di adesso, dentro la cui mente costantemente stiamo.

Philip Roth

Il libro è scritto in modo magistrale. Si percepisce in ogni momento il controllo totale che l’autore ha sulla direzione in cui vuole far andare il tono e l’atmosfera di quello che sta raccontando. E poi, le scene: si raggiunge un grado di dettaglio così grande, sempre, che è impossibile togliersele di mente.

E’ un libro complesso, non semplice; il grado di attenzione che richiede è alto e se non si ha almeno un’ora, se non due, da dedicargli si rischia di non apprezzarlo come meriterebbe, di perdersi pezzi per strada. Prima di andare a letto, io che leggo quasi sempre a quell’ora, ho fatto molta fatica, tant’è che ho cominciato a ritagliarmi momenti durante la giornata solo per lui. Ma ne valeva la pena: Roth è un narratore abile, ed è stato un piacere passare del tempo con la sua penna.

Quello che non è stato un piacere, invece, è il continuo rimando al sesso. Andrea Tomaselli, incontrato in classe alla Holden, disse che è compito della narrativa parlare di cose come il sesso e la morte, e che se ne deve parlare bene, rimanendo ancorati e fedeli alla realtà. Adesso capisco cosa volesse dire. Roth ne parla tantissimo: ogni momento della vita di Sabbath è legato a una faccenda sessuale, tanto che sembra proprio di avere a che fare con un maniaco, un molestatore, l’emblema del patriarcato approfittatore e sessualizzatore costante dell’universo femminile. Ne parla, però, in maniera ricca, non cadendo mai nel banale, nel cliché; ne parla con un grado di umanità incredibile, trovando sempre spazio anche per il ribrezzo, la vergogna, la lascività, la blasfemia, la lussuria, l’abbandono, la goduria, la censura. Il sesso c’è sempre, fino alle ultime pagine, ma ogni scena non è mai uguale alla precedente, non odora di stantio, non ti verrebbe voglia di gettare il libro – eccheppalle, di nuovo – fuori dalla finestra. No. Rimani incollato. Te lo vivi. A volte fa schifo, e ci stai scomodo, ma a volte così schifo non fa, leggi tutto d’un fiato, e allora ti accorgi che Roth ha saputo cogliere qualcosa che neanche tu avevi colto di un argomento così troppo spesso relegato nell’intimità da confluire nella narrativa sempre con toni eufemistici.

Eppure, disturba. Disturba tutto questo parlare di sesso, sempre sesso, sesso qui, sesso là, sesso dove il sesso non dovrebbe starci, sesso dove ci dovrebbe stare il dolore, sesso dove ci dovrebbe stare l’ascolto, la redenzione. Cristo, Sabbath, e smettila! A volte lo avrei proprio voluto urlare. Questa è la ragione delle mie quattro stelline. Per il resto rimango dell’opinione che sia un’opera veramente intensa, un romanzo da leggere e da vivere almeno una volta nella vita.

✩✩✩✩

“Se qualcuno te lo dicesse prima, quanti errori dovrai fare, tu diresti no, mi spiace, è impossibile, trovatevi qualcun altro; io sono troppo furbo per fare tutti quegli errori. (…) Ma loro ripeterebbero (..) che tu ti trasformerai in un coglione colossale mettendoci un impegno che neanche ti immagini, che farai sbagli di una grandezza che neanche ti sogni… perché è l’unico modi di giungere alla meta.”

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2 risposte a “Il conturbante Teatro di Sabbath”

  1. Per me, un libro magnifico, e proprio l’ossessione per il sesso lo rende straordinario. Philip Roth è stato un grandissimo scrittore e avrebbe meritato il Nobel

    Piace a 1 persona

    1. E senza l’ossessione per il sesso Sabbath non sarebbe stato Sabbath. Philiph Roth ha veramente una capacità unica di raccontare, non vedo l’ora di leggere qualcos’altro scritto da lui! Hai qualche consiglio? 🙂

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