Era da più di un mese che mi frullava per la mente l’idea che avrei tanto voluto leggere qualcosa di leggero, di adolescenziale, di romantico, insomma: qualcosa che mi avrebbe intrattenuto nei momenti di pausa dalla tesi che sto scrivendo e che non vedo l’ora di gettarmi alle spalle. Ammettiamolo: non sempre il mattone è il libro di cui abbiamo bisogno. Anzi, non serve neanche che sia un mattone. A volte penso che avrei avuto molti meno blocchi del lettore nella mia vita se non mi fossi incaponita a leggere libri che richiedevano più attenzione di quella che, nel momento in cui li stavo leggendo, ero in grado di dedicargli.

Quindi, sotto il sole invernale di una Torino in cui la pioggia non si vede ormai da due mesi interi, sono approdata alla Mondadori e ho spulciato tra gli scaffali. Avevo sentito parlare della trilogia da un paio di profili che segue su Instagram: i loro commenti erano molto entusiasti, e senza neanche leggere di cosa parlasse, mi sono fidata. Sono fatta così, mi piace affidarmi. Regalatemi un libro che vi è piaciuto e mi renderete la persona più felice del mondo. Così, attratta dal rosso della copertina, conscia che senza dubbio mi avrebbe condotta nell’atmosfera romance di cui tanto sentivo il bisogno, l’ho comprato. Tempo due ore e avevo già finito le prime 150 pagine. Adesso che l’ho finito, è con estrema gioia che scrivo questo post. Quante gioie, QUANTE. Ma prima lasciate che vi delizi con una citazione, assolutamente senza spoiler:
“Il sangue mi si gelò nelle vene quando sopraggiunse un freddo inquietante e avvolgente. Non riuscivo a vedere nulla, solo un vago luccichio all’angolo dell’occhio, ma il mio cavallo si irrigidì. Mi sforzai di rimanere impassibile. Persino la primavera che abbracciava dolcemente il bosco sembrò sparire di colpo, sfiorendo e raggelandosi.”
Il libro è scritto in prima persona e il punto di vista è quello di Feyre, una ragazza diciannovenne su cui pesa la sopravvivenza dell’intera famiglia, molto povera, e a cui lei bada cacciando nei boschi intorno a casa. Vivono vicino al muro che separa il mondo delle fate da quello degli umani, diviso in seguito a una guerra sanguinolenta che fa ancora rabbrividire ogni uomo al solo pensiero di incontrare un essere dell’altro mondo. Durante una battuta di caccia, però, Feyre uccide un lupo e, la sera stessa, viene reclamata dal mondo delle fate come pegno per la loro perdita. E’ tutto scritto nel Trattato, dice il lupo che è venuto a prenderla; o vieni o ti sbrano, umana. E quindi lei va. E da qui si dipanano tutte le vicissitudini – non le definirei avventure, proprio no – all’interno della Corte di Primavera, setting principale di questo primo volume.

Qual è il problema di questo fantasy? Ahimè, sono molti. Premetto che io ho letto il libro in italiano, nella versione tradotta da Vanessa Valentinuzzi, per cui non parlo della sua versione in lingua. Sono conscia del fatto che molti fan si appellino alla traduzione come unica fonte di oscenità, ma io sono dell’idea che sì, la traduzione possa influire tanto sull’opera finale e che possiamo parlare di due esperienze molto diverse tra di loro, ma stiamo comunque parlando di Mondadori e da loro mi aspetto che affidino le traduzioni a persone che non sono competenti, di più. Detto questo, affronterò le questioni punto per punto:
- E’ scritto in modo talmente semplice e infantile che le parole che sono state usate dall’autrice per tutte le 400 pagine non saranno state che cinquanta, in cui mi azzardo a includere persino i punto d’interpunzione. Manca così tanto lessico che se succedono due cose simili, l’autrice le descrive con le stesse parole. I personaggi maschili sono tutti descritti come ferini, i loro occhi felini. Ogni volta che la protagonista prova eccitazione si parla della sua parte più intima e tra i tipi di fata descritti si fa davvero fatica a non pensare di averne già vista una uguale. Questa semplicità di linguaggio, però, non è solo un punto a sfavore: volendo vedere il risvolto della medaglia, una scrittura così priva di barocchismi e complessità è perfetta per attirare e dialogare con un pubblico giovane. Inoltre, se vogliamo considerare questo testo come puro intrattenimento, che intrattenimento sarebbe se dovessimo fare qualche sforzo interpretativo? Non lo sarebbe!
- I personaggi sono identici tra di loro. Gli uomini sono tutti belli, muscolosi, che parlano ringhiando, e l’unica cosa che li caratterizza un minimo sono il colore dei capelli e quello degli occhi. E per fortuna. Per quanto riguarda i personaggi femminili invece ho notate un po’ più di spessore. Spessore, occhio, non profondità, che comunque era d’obbligo perché ben più di una di loro ha i capelli castani e sarebbe stato un dramma, altrimenti, distinguerle.
- Il sistema magico. IL SISTEMA MAGICO. SARAH? TUTTO BENE? Non è che puoi far succedere le cose perché ti piace così, devono avere un senso. DEVONO AVERE UN SENSO, CAPITO? No, lei fa come vuole. E giustamente, eh, sia mai che io voglia ingabbiarla: lo scrittore, dopotutto, nel suo romanzo è come un dio. Ma in un fantasy il sistema magico è la base, e seppur i sistemi magici leggeri siano di mio gradimento ci deve sempre essere un senso comprensibile al lettore. Sempre. Io non voglio farvi spoiler, ma… aspettate la fine.
- Il worldbuilding. Io me la vedo, Sarah, che sta lì, seduta sulla sua scrivania, che si rigira la penna tra le dita, annoiata, e all’improvviso ha questa idea geniale e dice: adoro, la scrivo! E’ capitato a tutti, almeno una volta nella vita, di avere quell’idea che ci sembra perfetta e che poi, con un minimo di ricerca, scopriamo esser stata usata e usata e usata e usata mille volte. Stupidi noi che non abbiamo proseguito. All’inizio sembra di essere in Hunger Games, con Katniss che si procura il cibo per la famiglia con tanto di arco, frecce e capelli castani; poi, per il muro, sembra di essere nel magico mondo di Faerie di Neil Gaiman, in Stardust. Tra l’altro l’ho notato solo adesso ma Fayre, il nome della protagonista, è proprio originale. Nel corso della storia si passa ai lupi mutaforma… ehm… Twilight… ehm… forse sono troppo boomer… ehm…
L’unico punto a favore del mondo costruito dalla Maas, Prythian, è l’idea delle Corti. Lo so, ma io sbavo per questa semplicità. Le Corti in cui è suddiviso il mondo delle fate sono: la Corte di Primavera, d’Estate, d’Autunno, d’Inverno, dell’Alba, del Giorno, della Notte e il Regno sotto la Montagna. La vergine che è in me sbava per tutte queste cose così belline e semplicine e precisine, che rimandano alla vita vera e che sono caratterizzate proprio dai tratti che ti aspetti. Questo è un altro punto a favore della semplicità con cui si legge questo testo: il nome più difficile da pronunciare è quello della protagonista, Fayre, il resto scorre da sé.
Insomma, per oggi mi fermo qui. Questo libro è stato tutto quello che mi aspettassi, persino di più: ho già comprato il secondo. C’è qualcosa che funziona tremendamente bene, persino con tutti questi difetti. E’ la prima volta in tutta la mia vita che do solo due stelle a un libro ma non vedo l’ora di leggere il secondo! Non solo non vedo l’ora di comprendere più a fondo cosa abbia portato migliaia di ragazz* ad appassionarsi così tanto a questa trilogia (pensate, esistono podcast con centinaia di puntate interamente dedicati all’analisi di ogni singola parola, di ogni singolo capitolo, di ogni singolo dialogo presente nei libri della Maas). E’ un fenomeno di massa e l’accademica che è in me, se mai riuscirò ad arrivare alla laurea, ha bisogno di comprenderlo.
Non vorrei però che dal precedente paragrafo passasse un messaggio sbagliato. Io non considero questo libro un bel fantasy, né un libro da emulare in tutto e per tutto. Non credo neanche che tra dieci anni qualcuno si ricorderà della sua esistenza. Il mondo degli Young Adult Fantasy ha dei tesoretti ben migliori di questo libro. Però è curioso che sia proprio questo ad aver riscosso così tanto successo, e sono sorpresa da me stessa per la voglia immensa che ho di leggermi il prossimo. No, non sono un’inguaribile romantica e l’ultimo romance che ho letto è stato Twilight in prima superiore. Voglio capire, davvero, perché io un fantasy con questi presupposti non lo avrei né comprato né, se fossi stata una casa editrice, pubblicato. VOGLIO CAPIRE, CRIBBIO.
Vi lascio con l’ultima citazione, sperando che vi convinca a dare una chance a questo capolavoro:
“Ma osai lanciare un’occhiata al mio Signore Supremo e notai che mi osservava con severità. Se solo avessi potuto abbracciarlo, sentire per un istante la sua pelle, il suo odore, la sua voce pronunciare il mio nome…”
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