
Dopo la sofferenza che ho provato nel leggere gli ultimi capitoli, finalmente è finita. Non la saga, figuriamoci: la Maas sta addirittura pensando di scrivere un quinto libro e io sono solo al terzo. Intendo la tortura, quella vera: quando un libro comincia a farti così schifo da non riuscire a leggere che tre pagine di fila.
Ora, ora, ora: non tutto questo terzo capitolo lo considero monnezza. Le doti di scrittura della Maas avrebbero avuto bisogno di una strigliata prepotente da parte di qualche editor, come mi ha fatto brillantemente notare Valeria di @missangorian, ma questo lo sappiamo dal primo libro e non mi sarei aspettata niente di diverso, nonostante si presuppone sempre che tra un libro e un altro possa esserci una sorta di crescita artistica. Non voglio sbilanciarmi e dire che non c’è stata perché la traduttrice, nonostante il secondo volume sia stato fatto tradurre da un’altra (Lia Desotgiu, che tra l’altro ha tradotto anche la trilogia Daevabad), è la stessa del primo. Non azzardo commenti a tal proposito (in fondo, io, di traduzione non sono un’esperta) ma so che è stato recentemente pubblicato un mattone contenente i primi tre volumi del ciclo delle Corti e che la nuova traduzione è stata molto apprezzata dai lettori appassionati alla saga. Lasciando da parte la questione traduzione, e affidandoci al fatto che, comunque, anche se fatta male non può stravolgere il libro, non posso che annoverare la Maas tra le scrittrici di fantasy incapaci di descrivere altro che non siano le relazioni d’amore.

Questo è il fulcro della mia tesi, e sarei felicissima se si istaurasse un dialogo nei commenti e nella mia pagina Instagram (mi trovate come @giuneitesti). E le descrive bene, le storie d’amore, che siano tossiche come nel primo libro o da sfarfallio nello stomaco come nel secondo. Un po’ meno quelle di terzi, ovvero non filtrate dall’esperienza in prima persona di Feyre, la protagonista, ma comunque le ho trovate tutte abbastanza credibili. Un po’ scontate, ma alla fine è anche bello così, no? Accontentare il lettore non è il male dei mali, soprattutto in un genere, il romance fantasy, in cui generalmente si tende a costruire una fandom affezionata e fedele, che se ammazzi qualcuno che non devi è un attimo far la fine di Paul Sheldon in Misery non deve morire.
E’ questa sua capacità che rende il secondo libro, (SPOILER) interamente concentrato sull’evoluzione della storia d’amore tra Feyre e Rhysand, il migliore dei tre. Quello sì che me lo rileggerei, e solo per la storia d’amore. Attirano a leggere la saga parlando di intrighi, di inganni, di trame oscure attraverso cui la protagonista deve farsi strada nel magico mondo dei Fae, ma la maggioranza sono prevedibili, nient’affatto sensazionali, spesso infantili. Soprattutto se consideriamo che il target di riferimento non sono adolescenti di 14 anni, ma un po’ più grandicelli (le scene di sesso sono comunque esplicite). Forse un grado di complessità e profondità maggiore avrebbe reso le cose più interessanti, anche se non tutto è descrivibile attraverso le sensazioni, cosa che la Maas tende a fare pur di non dare mai, mai, mai descrizioni pure e oggettive di quel che le sta attorno e di quello che sta succedendo.
E poi… il sopruso di puntini di sospensione… per dare l’idea che qualcosa di terribile stia accadendo… è… insopportabile… ho capito una volta… ho capito due volte… ma ogni tre frasi… nel bel mezzo di una battaglia… spoiler… ti verrebbe voglia di pagare un corso di scrittura immersiva alla povera autrice.

Vi giuro che non ce l’ho con lei, anzi, l’ammiro davvero tanto per il successo che sta avendo e sono sicura che prima o poi leggerò anche la saga di Crescent City. Ho un debole per le storie d’amore con bellocci e bellocce, di reprimerlo non ne ho la voglia, né la forza. Così è. Quindi non dico che sia tutto da buttare, però per chi è abituato a leggere cose di qualità – anche fantasy romance di qualità (lo sosterrò fino al giorno della mia morte: chi dice sia un genere di serie B, non ha letto abbastanza fantasy) – certe cose non può fare a meno di notarle.
Ma parliamo della battaglia, che è stata la cosa che più mi ha fatto storcere il naso. Sì, alla fine combattono. Se non volete spoiler, non andate avanti. Il re di Hybern attacca Prythian ed è seriamente intenzionato a conquistare il regno degli umani al di là del muro. I Signori Supremi, ognuno con i propri poteri e le proprie legioni, combattono in un’alleanza. Vi cito un passaggio, lasciando parlare il testo per me:
«E in tutto questo, Bryaxis… riuscii solo a distinguere gli artigli e le zanne che si spostavano di continuo e poi ali e muscoli che si muovevano e giravano velocemente dentro quella nuvola scura che si abbatté su di loro, soffocandoli. Il sangue spruzzò ovunque tra i soldati urlanti. Alcuni sembrarono morire di terrore puro. (…)
Non avevo parole per descrivere il suono che udii mentre entrambi gli eserciti si scontravano. Elain si coprì le orecchie, facendosi piccola.»
Dire “non avevo parole” non permette di percepire al lettore lo spavento che prova la protagonista: occorre descriverlo. E anche quando parla del caos che serpeggia nella battaglia sottostante avrebbe potuto trovare un modo per farlo arrivare meglio, soprattutto a livello d’immaginazione. Così sembra che sia l’autrice, quella che non riusciva a mettere bene a fuoco cosa stesse succedendo, e non Feyre. C’è una sottilissima differenza e sta tutta in come il lettore percepisce ciò che sta avvenendo. Chi scrive deve avere il controllo di tutto, sempre, e il lettore purtroppo se ne accorge, quando viene a mancare.
Un ultimo accenno ai colpi di scena, di cui il libro è pregno. Li ho definiti, parlandone nelle storie di Instagram, come meri tappabuchi, e adesso vi faccio due esempio (anche qui, allarme spoiler):
- Il padre di Feyre, che riabbracciata nuovamente la professione di mercante se n’è andato a zonzo del mondo lasciando le altre due figlie da sole a casa. Nel frattempo queste due poverelle sono state trasformate in Fae, che gli umani ODIANO, ricordiamocelo, e hanno abbandonato casa loro perché costrette dalle minacce di Hybern. Ecco, ‘sto poverello che nel migliore dei casi se ne sarebbe tornato a casa e sarebbe rimasto sconvolto dal non trovare nessuno, solo cenere e macerie, arriva invece nel bel mezzo della guerra, solcando i mari con navi che portano i nomi delle tre sorelle, e cambia inevitabilmente il destino delle parti in gioco. E poi muore. Tre secondi dopo. Zac. Caput.
- Amren, che si libera con un doppiogioco annusato 300 pagine prima con la sua scomparsa totale dalla scena, decide di tornare dal mondo del morti afferrando la mano di Rhysand – morto a sua volta – e perdere così la sua essenza bestiale e svegliarsi nel corpo di una semplice Fae. Il tutto per Varian, di cui si è perdutamente innamorata. Ve l’avevo detto che il romanticismo non manca, no? Però… e andiamo!
Ho la pessima abitudine di impormi di finire una saga, una volta che la comincio. Sì, a volte mi è successo di doverla necessariamente abbandonare – come nel caso di Gideon la Nona, di cui presto vi parlerò – ma non l’ho mai fatto senza un alta percentuale di rammarico. Sono felice di aver concluso questo libro, e non escludo che continuerò con il quarto, scritto dal punto di vista di una delle due sorelle di Feyre, Nesta. Alla fine mi sono affezionata ai personaggi, alle loro dinamiche, all’atmosfera di familiarità tra di loro. In questo l’autrice è stata brava, e sono sicura che sia uno degli ingredienti principali del suo successo. La scrittura no, quella no, ma si è sempre in tempo a migliorarla e ho sentito dire che in Crescent City si riesca a notare una qualche differenza. Non mi resta che verificare, ma per adesso mi prenderò una pausa. Chissà… forse durante la stesura della prossima tesi…
A chi consiglio questa saga? A tutti coloro a cui è piaciuto Twilight, senza ombra di dubbio, agli amanti dei romance e a chi vuole affrontare una lettura poco impegnativa, davvero poco impegnativa.
Con Rhysand nel cuore io vi saluto, aspettandovi come sempre nei commenti.
A presto,
giù
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