
E’ sulla bocca di tutti e questo è il suo secondo romanzo, uscito nell’agosto del 2018 per Einaudi. Un successo, quello di Sally Rooney, sfociato anche sul grande schermo: è del 2020 l’omonima serie tv, e presto ne uscirà una basata su Parlarne tra amici, il romanzo d’esordio dell’autrice. Ne abbiamo parlato qui, vi ricordate?
Protagonista di Persone normali è una storia d’amore tra due giovani adulti irlandesi, Marianne e Connell. Appartenenti a due ceti sociali diversi – lei ricca, lui figlio di madre single – iniziano a frequentarsi in segreto durante l’ultimo anno di liceo, quando lui è molto popolare e lei è considerata da tutti la strana della scuola. Il libro segue l’evolversi e il plasmarsi della loro storia al cominciare dell’università, ai primi lavori, ai tira e molla a cui una difficoltosa comunicazione tra di loro li obbliga a convivere, alle altre relazioni. Marianne e Connell: un capitolo siamo lei, un capitolo siamo lui; a volte tra l’uno e l’altro trascorrono pochi giorni, altre interi mesi. Ma la Rooney è intelligente e lo spazio che intercorre lo riprende con i flashback, che dicono tutto quello che c’è bisogno di sapere dei tanti giorni che la narrazione non affronta.
Sì, parliamo di una storia d’amore; sì, una storia d’amore tra giovani. Il forte di questo libro non è l’argomento, ma come viene affrontato. Avete mai percepito che il colpevole di qualsiasi disgrazia amorosa fosse una non eccezionale capacità comunicativa? Ecco, il concetto sviscerato dalla Rooney è proprio questo: il confine che unisce due essere umani che entrano in una qualche relazione, la comunicazione. E alla fine sarà proprio la capacità di dialogare che tra di loro hanno Marianne e Connell a mutare, segnando così un netto cambiamento e una evoluzione del loro rapporto all’interno della storia.

Persone normali parla di Millennials, anche se fa un passo indietro rispetto all’altro titolo: siamo nel 2011, quando ancora gli smartphone non erano così comuni. Ma sempre di giovani si parla, immersi come sono nelle difficoltà che il raggiungimento di una vita adulta comporta e alle prese con la scoperta di chi sono oltre la gabbia chiusa che rappresentano le scuole superiori.
Dopo aver letto due libri della Rooney sento di potermi sbilanciare: il suo modo di scrivere la rende una voce riconoscibile, una voce che, agganciandoti già dalle prime pagine alla storia che sta raccontando, ti porta a finire il libro. Complice il fatto che nessuno dei due titoli da me citati – Persone normali e Parlarne tra amici – sia eccessivamente lungo – il più corposo, Persone normali, supera di poco le 200 pagine. Rooney non si sofferma eccessivamente sulle singole scene, non tedia il lettore con flussi mentali ed emotivi eccezionalmente lunghi e lascia parlare molto le azioni, senza spiegarle.

I personaggi di Persone normali potrebbero essere chiunque, almeno dal punto di vista fisico. Davvero pochi sono i dettagli che circondano le figure protagoniste del libro e se compaiono, compaiono a indicare un cambiamento emotivo avvenuto nel corso della narrazione, non per meglio definirne i contorni. Questa vaghezza è tipica della Rooney: anche in Parlarne tra amici si percepisce la stessa cosa, anche se delineata dal punto di vista paesaggistico. Ecco, la vaghezza che nel primo era dedicata ai paesaggi, qui è trasmutata verso i personaggi: nel primo si poteva essere un po’ ovunque nel mondo, in questo i personaggi possono essere qualsiasi persona abbiamo in mente.
La vaghezza apparente – perché poi nella testa non lo diventano mai, vaghi, i personaggi – si lega alla mancanza di caos, altro punto a favore dello stile di scrittura dell’autrice. Non si ha mai la percezione che qualcosa stoni, che sia fuori posto; ogni cosa appare molto ordinata, nei suoi libri, e anche se in Persone normali ho accusato un po’ il continuo tira e molla tra i protagonisti, mai ho percepito che non vi fosse un controllo sulla direzione verso cui sentivo mi stesse trasportando Rooney.
Anche qui l’autrice rinuncia alla distinzione dei dialoghi dal resto del testo, come fosse ormai un suo marchio distintivo. Non avrei mai pensato di arrivare a non sentirne la mancanza, ma è successo: arriva il dialogo e tu sai che lo è, riesce a fartelo capire. Che sia il futuro? Certamente una declinazione interessante.
Voglio lasciarvi con una riflessione, scaturita da una frase tratta da uno dei capitoli finali.
“Marianne non è più né ammirata né vituperata.
La gente si è dimenticata di lei.
Adesso è una persona normale.”
Quando una persona non è compresa, spesso alle sue spalle si creano storie e narrazioni che cercano di tradurre ciò che non si riesce a vedere con chiarezza. Non è considerata una persona normale perché troppo distante da quelle che così si reputano e in tal modo si ritrova ancora più lontana da un gruppo che esiste ma senza di lei.
Non sentirsi di appartenere fa male.
Non sentirsi di poter essere persone normali fa male.
Poi, crescendo, capita che questa persona si renda conto che nessuno la guarda più come l’outsider di turno, che non le punta il dito contro, non si interessa a riempire gli spazi vuoti con racconti di sua immaginazione. La persone che un tempo soffriva perché si sentiva colpevole della propria diversità è diventata una persona normale. E ne può trarre un gran sollievo.
Questa qua sopra è un po’ la mia storia, che ho sentito essere anche la storia di Marianne. Recentemente mi sono sentita normale dopo anni in cui normale non mi ci sentivo per niente e dall’esterno vedevo arrivare solo l’intento di non farmici sentire mai. Mi sono accorta di essere normale perché la mia vita scorreva senza più l’infiltrazione di commenti altrui, e questo mi ha fatto sentire serena. Non mi sento uguale a nessuno, e rimango fermamente convinta che ognuno sia portatore sano di diversità, ma mi sento normale. Una declinazione dell’essere umano che ha diritto a esistere come tutti gli altri in maniera autonoma e indipendente, e quando vedevo solo diti puntati, io, me stessa non mi vedevo più.
Che sollievo sentirsi normale in un mondo in cui tutti hanno il diritto di sentirsi persone normali.
Non so se sono riuscita a spiegare questo concetto a me caro – ho fatto del mio meglio, questo è il risultato. Vi va di farmi sapere qualche pensiero a riguardo, qua sotto? O anche solo se il libro vi è piaciuto o meno, mi farebbe piacere parlarne.
Un abbraccio grande,
giù
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