Le assaggiatrici del Führer secondo Rosella Postorino

Rosa Sauer è la protagonista del nuovo libro di Rosella Postorino, pubblicato nel 2018 da Feltrinelli. Rosa, insieme ad altre nove donne, viene scelta da Hitler come assaggiatrice personale di tutto il cibo che consuma, nel pericolo che possa essere avvelenato. Così l’autrice racconta (intervista completa su tropismi.it) come è nata l’idea:

“Il romanzo è nato, senza che io lo sapessi ancora, nell’istante in cui leggendo il giornale sono inciampata in un trafiletto che parlava di Margot Wölk, una donna berlinese di 96 anni che da giovane era stata un’assaggiatrice di Hitler”.

E’ piuttosto recente, infatti, la scoperta del ruolo delle assaggiatrici. Nel 2014 è uscito sul Corriere della Sera un articolo un cui se ne parla: “ogni volta che finiva un pasto, l’allora 25enne Margot Wolk scoppiava in un pianto liberatorio, perché significava che era ancora viva. Almeno fino al pasto successivo, quando quell’incubo infinito sarebbe ricominciato da capo.” Postorino non sa perché sia proprio questa storia, quella che vuole raccontare. Però le ha parlato, e quando una storia ci sceglie, un po’ come le bacchette in Harry Potter, non rimane che lasciarsi trasportare.

Rosa ha appena salutato il marito per il fronte, quando si trasferisce nella cittadina dei cognati, Gross-Partsch. Ad accoglierla a pochi giorni dal suo arrivo, nell’autunno del ’43, le SS: stanno reclutando dieci assaggiatrici che lavorino nella caserma di Krausendorf, la Tana del Lupo, il quartier generale di Hitler sul fronte orientale. Non può ribellarsi, la loro non è una richiesta. Così comincia la storia di Rosa e della altre assaggiatrici.

“La voce dell’assaggiatrice cattura il lettore e non lo libera mai, per quanto è vera, tesa, penetrante”, ha detto Donatella Di Pietrantonio. Ed è davvero così. Di lei percepiamo la delicata posizione in cui si trova: tedesca, incapace di sentire complice di una guerra che le ha portato via il marito; incapace di sentirsi nemica di quelle SS che la squadrano e la comandano perché non è possibile esprimere un’opinione, tantomeno accennare di averla. E pure sacrificarsi per la vita di Hitler, pasto dopo pasto, con la paura di trovare del veleno, di esserlo davvero, complice, senza aver fatto una scelta propria. L’autrice paragona il destino di molti tedeschi a quello di una delle assaggiatrici, che a un certo punto della vicenda subisce le decisioni altrui solo perché donna. Un destino subito anche per i tedeschi quindi, vittime di una scelta.

Si parla tanto di Seconda guerra mondiale dal punto di vista esterno, raccontando la dittatura di Hitler senza considerare i tedeschi che sono rimasti nei confini del Reich per tutta la durata del conflitto. Postorino non parla solo di loro, cercando di scandagliare anche la figura dell’SS e quella di coloro che consideravano Hitler la salvezza della Germania, ma va dritta al centro di quel periodo storico, parlando proprio di lui, Hitler. E nel difficile tentativo di descrivere un periodo che ben conosciamo, raccontato migliaia e migliaia di volte, aggiunge una tessera al puzzle importante, fresca, consegnandoci un punto di vista prezioso, nuovo, ancora inedito.

La voce di Rosa Sauer si porta addosso la storia della protagonista, le scelte del passato, le ambiguità del presente, l’impossibilità di comunicare a pieno quello che vive, quello che prova, quello che pensa. Complice la relazione che instaurerà con una delle SS, si arricchisce la complessità del momento che si trova a vivere. E come spiegarsi? Come raccontarsi? Postorino concilia perfettamente l’avanzare della trama con i conflitti interni della protagonista, non lasciando mai che la noia o la staticità affossino lo scorrere della storia.

Sarei stata così diversa da Margot se mi fosse capitata la sfortuna che è capitata a lei?” Si chiede l’autrice. Me lo sono chiesto anche io. Di più: chi sarei stata, tra le assaggiatrici? Avrei lottato ogni giorno, incapace di arrendermi all’obbligo di sottostare alle minacce delle SS, o avrei mangiato il cibo presumibilmente avvelenato? In quanto tempo sarei impazzita? Che cambiamento avrebbe portato, in me, un esperienza così ravvicinata con la paura costante di morire non per le bombe ma per il cibo avvelenato?

Nessuno si è salvato, negli anni della guerra. Né coloro che si sono trovati fuori dai confini dell’epicentro del conflitto, né coloro che vi si trovavano all’interno. I colpevoli, diremmo peccando di generalizzazione. Lo abbiamo fatto con loro, lo abbiamo fatto con i musulmani e continuiamo a farlo tutt’oggi; guardiamo alla Russia: Putin dichiara guerra e all’improvviso tutti i russi son bellici, pazzi, gente da non incrociare manco per sbaglio per strada. Non c’è niente di più lontano da ciò che la storia – e testimonianze come quella di Postorino – ci insegna. E sono cimeli preziosi, soprattutto a livello antropologico, che ci mostrano che le scelte di un uomo potente non sono le scelte di chi gli sottostà, di cui non solo non si conosce la storia – sarebbe poi impossibile, conoscere la storia di milioni di persone – ma che sarebbe così complessa, così ricca e così profonda che non basterebbe una chiacchierata per farsene un’idea.

Non è un libro lunghissimo, sono circa 280 pagine, e anche se so che molti non hanno apprezzato l’inserimento della relazione tra la protagonista e l’SS, dato che non occupa eccessivo spazio nella storia, a me non ha dato fastidio. Anche se sono, a livello narrativo, quelle riuscite peggio, le scene di sesso non sono mai esplicite, ma se lo volete regalare a qualcuno molto sensibile sul tema dello stupro, anche se non viene affrontato nel dettaglio, passerei oltre. C’è un accenno a una scena particolarmente delicata, potrebbe infastidire. Per il resto è un gran bel libro e sono molto contenta di essermi regalata questa finestra di conoscenza in più di quel particolare periodo storico.

Vi lascio con le parole di Rosella Postorino, anche queste estrapolate dalla stessa intervista di sopra:

“Ho lavorato a Le assaggiatrici per più di tre anni. Non avevo una scaletta dettagliata né un piano del romanzo, all’inizio: non ne ho mai, non sono capace di scrivere così. Scopro le cose man mano che accadono ai miei personaggi, e torno continuamente indietro per riscrivere, tagliare, smontare, rimontare, alla luce di ogni nuovo evento, di certi nuovi capitoli, di una piega del carattere del personaggio che non era ancora emersa e che invece si rivela importante. Questo libro mi ha richiesto una documentazione molto ampia, ma anche molto gratificante. Per me scrivere romanzi è una forma di esplorazione, di scoperta: tanto di un mondo nuovo, di cui devo conoscere più elementi possibili, quanto del mondo in sé, del mondo in quanto tale, e dunque di me, che al mondo appartengo.”

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