Complice una sfrenata voglia di distrazione, questo fine settimana ho cominciato e finito il quarto capitolo della saga di Sarah J. Maas ambientata nel fatato mondo di Prythian, Una corte di fiamme e argento. Degli altri volumi ve ne ho parlato, in ordine crescente, qui, qui, e qui. Nonostante non fosse partita a meraviglia, la saga aveva poi recuperato alla grande – sempre sorvolando sulle capacità di scrittura dell’autrice, che non spiccano particolarmente e peccano, visti i successivi, di una certa immaturità artistica.
L’ultimo libro non mi aveva convinta, soprattutto nella battaglia finale, e avevo deciso di prendermi una lunga pausa. Come avrete ben capito, mi sono ingannata da sola: la pausa è durata cinque giorni e, passando per caso davanti alla Mondadori, mi sono ritrovata col successivo libro tra le mani. E che non lo vuoi leggere, se hai finito per comprarlo? Certo che sì!
Se la prima trilogia racconta della storia di Feyre, la più piccola delle sorelle Archeron, qua il focus si sposta su Nesta, la più grande. La prima persona viene abbandonata a favore della prima – mossa molto intelligente, ma poi lo vediamo – e i fatti cominciano poco tempo dopo la sconfitta del Re di Hybern. Nesta non se la sta spassando bene: beve ogni giorno fino a dimenticarsi il suo nome e passa le notti con Fae diversi nelle case del piacere. Feyre e la sua famiglia, alla Corte della Notte, sono disperati, soprattutto Cassian che, come abbiamo intuito dai precedenti libri, per lei ha sempre provato qualcosa. Ma Nesta si porta un grande dolore appresso, un dolore che è stato solo accresciuto dagli eventi vissuti durante la guerra e che risale a molto tempo prima, motivo tra l’altro del suo essere sembrata odiosa e insopportabile in tutta la trilogia. Così, armati di ali, i Fae che lei odia la confinano in una casa lontana diecimila gradini dalla prima taverna, nella speranza che l’isolamento, il servizio nella biblioteca adiacente alla casa e l’allenamento fisico con Cassian riescano ad aiutare Nesta a sfuggire al disfacimento e all’annullamento di sé verso cui si sta dirigendo.
Una corte di fuoco e argento parla di rinascita, di ferite che vengono risanate, di sofferenze che faticano a lasciare spiragli alla luce. Non è un percorso lineare, quello di Nesta, e nemmeno scevro di incazzature o capitomboli. So che a non tutti è piaciuto come la Maas ha affrontato il tema della depressione e dell’abuso di sostanze, ma a me non ha disturbato. E’ stata molto coerente e diretta nel dire quello che disturbava la protagonista, quali fossero i traumi che le impedivano di vivere in maniera costruttiva, e mai una volta li ho trovati finti o esagerati. E la sua evoluzione, dalle prima pagine del libro alle ultime, è di una tale evidenza e di una tale progressività che, da lettore, comprendi ogni passo avanti, come se non si precipitasse niente verso una frettolosa guarigione, come se lo si vivesse avvenire.
Io ho odiato Nesta fin dalla sua prima apparizione in Una corte di rose e spine. L’ho odiata dopo, scena dopo scena. Pensavo non ci sarebbe stato modo di farmela andar giù, e invece mi sono ricreduta. Sono bastate cinquanta pagine di questo libro, tra l’altro. Credo che sia stata una mossa molto astuta quella di lasciar andare il POV di Feyre – la sua storia, dopotutto, tra la sconfitta del Re di Hybern (di cui mai viene fornito un nome – solo a me sembra strano?) e la storia d’amore con Rhysand era già stata raccontata in ogni suo dettaglio. Con Nesta non solo Maas ha potuto raccontare quel che le viene meglio – le storie d’amore – ma di trattare temi diversi da quelli che hanno fatto da sfondo ai primi tre libri.
Vi parlo di tre cose che mi sono piaciute, poi passiamo a quelle che mi hanno fatto bellamente storcere il naso. Pronti? Andiamo!
- La storia d’amore con Cassian. Anzi, scusate: CASSIAN. Sono stata team Rhysand per tutta la trilogia, eppure adesso mi devo ricredere: se mi dovessi trovare nella fortuita condizione di esprimere un desiderio su come vorrei che fosse la persona al mio fianco, è a lui che mi riferirei. Davvero, cribbio, ma dove si trova un essere così attento alle necessità dell’altro? Dove? Ne approfitto anche per accennare a una caratteristica di questo libro, cioè il frequente accenno al sesso. Leggendolo si ha la sensazione che, separando le scene di sesso da quelle in cui la trama effettivamente procede, si potrebbero ottenere due romanzi diversi. Per alcuni questa cosa è un male, per me no: la storia non annoia, e questa costruzione intervallata le permette di scorrere che è una meraviglia. Il sesso è trattato in maniera diversa rispetto alla trilogia – viene introdotta la masturbazione, il sesso occasionale, il sesso per puro piacere – e a parte essere molto esplicito, in realtà che male fa? Io, che non sono un’assidua lettrice di romance o harmony, non l’ho trovato fastidioso. Fa parte della storia di Nesta e Cassian, e senza quelle parti sarebbe stato un romanzo molto diverso.
- La qualità della scrittura. Me lo avete sentito ripetere decine di volte, che Maas scrive in maniera sempliciotta, quasi un’affronto nei confronti dell’intelligenza dei suoi lettori. No, non storcete il naso: leggere si legge, non la odio mica, solo che al confronto con altri del genere la differenza si nota. Comunque, dicevo: sì, Maas non scrive da dio, ma in questo libro si nota un suo netto miglioramento ed è una cosa che ho molto apprezzato. E poi, finalmente, ha abbandonato la prima persona. Io ho una mia teoria, a riguardo: dato che lei è molto attaccata a uno stile di scrittura molto sentimentale ed evocativo, poco descrittivo e ancorato alla realtà, usando la prima persona rischia di diventare morbosa, didascalica e ripetitiva. La terza persona, invece, allontanandola dalla vicenda, allontanandola da chi sta provando quelle emozioni e dovendo comprendere sempre, all’interno dell’inquadratura, non solo la protagonista ma anche il contorno, cadere nella trappola del morboso è molto più difficile. Per questo dico che le dona, o senz’altro la aiuta.
- L’intervallarsi dei due POV, quello di Nesta e quello di Cassian, che non solo fa comprendere il loro avvicinamento, ma permette di entrare nella famiglia della Corte della Notte che ormai ci sta tanto a cuore dal secondo libro.
Per quanto riguarda le cose che mi hanno fatto un po’ storcere il naso, eccole qua:
- Il rapporto di Cassian con i suoi fratelli, Amren e Mor. Va bene, la storia parlava di Cassian ed è giusto che si sia parlato solo di lui. Ma davvero per parlare di lui è stato necessario isolarlo così tanto? Non ci credo che non abbia mai parlato della situazione che stava vivendo con Nesta con nessuno. Non ci credo, dai. Si fa accenno al fatto che gli altri gli sentano addosso l’odore di sesso: volete farmi credere che nessuno gli indirizza neanche una battutina? Nemmeno Rhysand? Poco probabile. Per non parlare di Azriel, che in questo libro è completamente – ma completamente – assente, o Mor, che addirittura si passa 700 pagine del libro da suo padre per convincerlo a firmare un contratto. Lo abbiamo già visto nella trilogia, che a Maas piace mandare i personaggi che non le servono molto, molto lontano (aka: il padre delle sorelle Archeron che scompare per tre libri perché sta mercanteggiando, spuntando poi all’improvviso per salvare il culo a tutti e tutte). Ma quando il lettore se ne accorge, è la fine: la trama non regge più. Vogliamo parlare poi di Lucien? Di Elain? E loro, dove li abbiamo messi?
- Ho già detto come il percorso di guarigione di Nesta mi sia piaciuto. Il ritmo nel libro è costante e si segue con trasporto, per poi arrivare alla fine e… tutto sembra succedere così velocemente da percepire una fretta incredibile nella penna dell’autrice. La fine si è trasformata in un’accozzaglia di roba priva di anima, come se Maas si fosse accorta che stava sforando il numero di pagine per la consegna e abbia deciso di finirla in breve. Le ultime cento pagine bocciate non solo per questo, ma anche per il prossimo punto.
- MAJOR SPOILER.
La fine del quarto libro si connette egregiamente con l’inizio del primo: l’ispiratrice si chiama Suzanne Collins e l’eroina da lei creata Katniss Everdeen. Davvero, Maas? Davvero? Il Rito di Sangue… così… solo loro tre… e le altre invece no… nella biblioteca… dopo che Devlon le aveva guardare con disprezzo… davvero pensi di darmela a bere così? Sono molto intelligenti, i lettori. Lo sono molto. Mannaggia a te.
Questo libro mi è piaciuto. E’ autoconclusivo: sì, lascia qualcosina in sospeso, non tutti gli intrecci geopolitici tra Fae e regine incazzate trovano una risoluzione e si presuppone che arrivi un quinto volume che ci spieghi perlomeno a cosa cribbio sia servito impossessarsi di quegli oggetti magici. E, perdiana, che ci dica che fine farà il nostro caro cantaombre! Ce lo meritiamo, no?
Credo proprio che avremo delle sorprese, dal punto di vista dei protagonisti. Feyre non lo sarà, Nesta neppure. Che scelga Elain, Maas? Possibile. Su di lei abbiamo ancora tanto, da scoprire: rifiuterà o meno il rosso Lucien? Perché è fissata con le piante? Qual è il suo potere? Sarà utile almeno una volta nel corso della storia? Non so se lo apprezzerei, ma dato che Maas si è confermata una droga, io qui lo aspetto. Nel mentre non mi rimane che consolarmi con Crescent City: anche stavolta mi sono ripromessa una pausa, ma vi mentirei se dicessi che non l’ho già comprato. So che mi amerete comunque.
Vi abbraccio e vi riabbraccio,
giù
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