Io sono una fifona, lo sono sempre stata. Ciò che mi ha sempre fatto paura, però, è la possibilità che nell’invisibile si celi qualcosa che improvvisamente e inspiegabilmente diventa visibile. Insomma: mi hanno sempre fatto paura i fantasmi.
Che fosse un racconto scovato sul web e millantato come veritiero o un a trasposizione cinematografica di qualche fantasia resa verosimile di qualche regista, non sono mai sopravvissuta a nessuna storia che non solo parlava di fantasmi, ma anche di tutto ciò che ruoto attorno all’horror. Pensate a Samara, di The Ring: anche adesso, scrivendo questo nome, ho la strana sensazione di potermela trovare sotto al letto, se solo mi metto a cercarla. Oppure Paranormal Activity: quando ne ho visto l’inizio, e ancora non era successo niente, vivevo in Costa Rica e ho dovuto pregare la mia mamma ospitante affinché mi facesse dormire con lei, perché proprio non riuscivo ad addormentarmi. Due mesi così, pensate la sua gioia.
Insomma, Giulia e gli horror non sono mai andati d’accordo. Cos’è cambiato, direte voi? Cosa ti ha portato a voler leggere e addirittura comprare il testo che ha ispirato una delle serie tv più paurose degli ultimi tempi? (A detta di alcuni amici amanti del genere, certo: io mica l’ho vista, ci mancherebbe altro.)
Il nome è uno: Shirley Jackson. Ne ho sentito parlare per così tanto tempo che non ho potuto fare a meno di avvicinarmi a lei, dapprima con Abbiamo sempre vissuto nel castello, di cui vi lascio la veloce recensione che ho pubblicato sulla pagina Instagram, e poi, avendomi la sua scrittura conquistata, con L’incubo di Hill House.

Così, armata di grande coraggio e pronta a chiudere il libro al minimo segnale di allarme, mi sono inoltrata nel libro che Shirley Jackson ha scritto nel 1959 e che rientra in tutto e per tutto nella letteratura gotica (che magari un giorno approfondiamo, che dite?).
Mi sono resa conto di una cosa, mentre leggevo le prime pagine: la mia paura è alimentata da tutti i racconti presumibilmente veri che circolano sulla questione. E allora mi son detta che i libri mi hanno aiutato in tante cose, in passato: perché non avrebbero potuto aiutarmi anche stavolta? Perché, dato che so essere frutto dell’immaginazione, a meno che non sia esplicitato il contrario, non possono mostrarmi ancora una volta dove può arrivare la mente dell’uomo?

Ma di cosa parla, L’incubo di Hill House?
Hill House è una casa stregata, e questo porta l’antropologo Montague a indagare sul suo conto. Il suo team di ricerca sono tre sconosciuti che ha contattato per aver vissuto episodi bizzarri, e Eleanor, una donna sola che non si è mai sentita a casa nel mondo, fa parte di loro.
Quando vede la casa, Eleanor rabbrividisce. Quando la custode le dice che nessuno potrà venire a salvarla se urla di notte, Eleanor la tranquillizza: sono qui perché mi hanno voluto, pensa; sono qui perché finalmente, per la prima volta nella mia vita, faccio parte di un gruppo. Eleanor ha solo bisogno di appartenere.
Per la prima metà del libro non succede niente di spaventoso. Poi, come ci si aspetta, sì. Jackson è brava a giocare con le atmosfere, a mantenerti incollato alle pagine con la tensione a mille. E quando succede – perché succede – le descrizioni non sfociano mai nel surreale.
Eleanor, alla fine, un luogo in cui appartenere lo trova. La casa la aiuta, e quando si percepisce cosa sta succedendo, così presi dalla narrazione, non possiamo che pensare che non poteva che finire così, questa storia che è poi la storia di Eleanor e nulla più. La storia di una ragazza che, per la prima volta, si è sentita capita. E noi rabbrividiamo.
Ho avuto paura? Sì.
Non ho dormito la notte? No.
Ho tenuto la lucina accesa? Alle tre mi sono alzata per spegnerla.
POSSO DIRMI ORGOGLIOSA?
Lo sono, lo sono davvero. Certo, non ho cominciato con un horror davvero spaventoso, ma per una persona suscettibile come me lo era anche fin troppo. Ho capito che leggere un horror è molto diverso dal leggerlo, che accompagnare un personaggio nelle sue scelte e in ciò che vede – e come lo vede – è diverso dall’essere spettatori passivi di un prodotto inondato di musichine creepy e inquadrature ad hoc. Potrei aver sviluppato una dipendenza dal genere che solo il tempo riuscirà a confermare.
Intanto ve lo consiglio. Io sono di parte, la scrittura di Jackson mi affascina e trovo che fosse un un asso nel campo della narrazione, e so che non tutti rimangono così stregati. Però sono sicura che rientri nei libri che vanno letti almeno una volta nella vita – senza obbligarsi, eh, che quando si gioca con le paure è un attimo fare il passo più lungo della gamba!
Ma so che ognuno di voi è coraggioso a modo suo, e questa frase contiene uno spoiler sulla prossima recensione che uscirà sul blog. Un indizio? Si tratta di un fantasy molto amato e la copertina è una delle più belle che abbia mai visto, molto celeste e viola.
Un abbraccio,
g
PS: Se avete qualche titolo da consigliarmi, sono felicissima di leggervi nei commenti! 🙂
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