
Momò ha nove anni, o forse dieci, undici, quattordici. Non lo sa: non ha madre e non ha padre, ed è cresciuto con Madame Rosa che di pargoli se ne vede affidare a decine. È figlio di una putt4na, è tutto ciò che sa.
Momò ha delle certezze: sa il suo nome, sa di essere musulmano anche se di religione non gli interessa granché, e sa di essere un filosofo, di voler scrivere un libro come I miserabili.
I miserabili, Momo li vede tutti i giorni: lo è Madame Rosa, novantacinque chili di pazzia, lo sono i vicini africani che arrivano a scacciare il demonio dal suo corpo, e lo è Hamil, l’arabo che si prende il compito di insegnargli a pregare. Lo é anche Madame Lola, travestito senegalese col buonumore stampato sul volto. E lo è Momo stesso, miserabile: un bambino che non ha casa e non conosce fortuna, che ha per amico un ombrello e che deve esibirsi come un circense per racimolare qualche soldo.
Indimenticabile, La vita davanti a sé: diorama di vite del quartiere multietnico di Parigi, lo sguardo è però quello di un bambino che non conosce altro. La scrittura è per questo sgrammaticata, ripetitiva, fedele a se stessa e all’età a cui appartiene. Alla Salinger de Il giovane Holden, direi. Ma una volta che si è dentro la storia, seppur sia inaffidabile, in Momò confidiamo. E come non affezionarsi a lui, a Madame Rosa, al rapporto di affettività e dipendenza che li lega, che li smuove, che li devasta?
Un romanzo incentrato sulle persone, solo sulle persone. E il luogo – Parigi, Belleville, il condominio di sei piani senza ascensore – nasce dai loro ritratti. Avete in mente altri romanzi del genere? 😊
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